Pupi di Zucchero

Dolce tradizionale della festività dei morti in Sicilia sono i Pupi di Zucchero. Erano considerati dolci giocattolo che, come quelli che le monache benedettine insieme ai “cosaruciari” e agli artigiani nelle dolcerie, confezionavano per il giorno dei  morti. I bambini aspettavano tutta la notte,  sapendo che al loro risveglio avrebbero trovato in dono dolci di marzapane coloratissimi e biscotti con pistacchi di Bronte.

“Ma i così detti “Pupi a cena” – afferma Franco Ruta della casa Bonajuto di Modica – chiamati così nella parte occidentale della Sicilia, e col semplice nome di Pupi di Zucchero nella Sicilia orientale, erano anche dolci che venivano confezionati a Pasqua. I bambini non dovevano mangiarli  così erano perfetti davanti ma pizzicati dietro perché la golosità era tale da non saper resistere a lungo”. A conferma di questa testimonianza si aggiunge quella del signor Iacono del Caffè dell’arte di Modica testimone vivente della preparazione dei pupi. Si tratta di dolci tipici di tutta la regione.

Nella parte occidentale rappresentavano in genere i pupi delle Chancon de geste: Orlando in primis. Nella Sicilia orientale e in special modo nella contea rappresentavano il carabiniere, la ballerina, la donna che va alla fonte, il cacciatore e San Giorgio. La composizione era uguale per tutta l’isola ciò che cambiava era sia la forma che la colorazione. “Nella Sicilia occidentale – continua Ruta – come accade anche per altre pietanze, la colorazione era molto accesa dalle nostre parti al contrario era più sobria e raffinata.

Era pregio del bravo artigiano il saper dosare ad arte il cremortartaro che era una molecola che serviva ad evitare che lo zucchero si sciogliesse dando poca consistenza all’oggetto. Oltre a questo l’artigiano doveva curare che il dosaggio dello zucchero fosse quello giusto. Non troppo sottile perché il dolce non si rompesse e non troppo pesante perché non fosse economicamente invendibile. Era bravo l’artigiano che sapeva dosare i colori che attiravano i bambini. Infatti nella memoria di coloro che si ricordano di questo dolce c’è proprio la decorazione che viene ricordata per la sua particolare raffinatezza”.

Ricorda il signor Iacono: “io ero bambino e a me non li facevano toccare ma mi ricordo il tempo che si dedicava alla decorazione. Lo zucchero a 150 gradi veniva colato in uno stampo di gesso e poi quello in eccesso veniva scartato perché la statua non pesasse troppo. Poi venivano asciugati per mezza giornata. Per decorare le parti più delicate ci si serviva della così detta pannedda una sorta di sottilissima stagnola colorata che conferiva un aspetto diverso alla statuetta: mi ricordo per esempio il fucile del cacciatore che era fatto tutto con la pannedda color rame. Poi la statuetta veniva rifinita con la vernice che allora si chiamava benzoino, oggi conosciuta con il nome di cera lacca, che serviva a lucidare i dolci. Qualche dolciere li lasciava di colore neutro ma era pregio della statuetta quella di esser colorata in maniera fine e raffinata. Venivano in alcuni casi usati anche dei brillantini per esempio per la ballerina.  Mi ricordo che erano considerati come dolci di scambio: io ti do il fucile e tu mi dai l’anfora, per esempio, oppure io ti do il braccio e tu la gamba!”.

 

Marcella Burderi